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Emilio Vedova

  • Immagine del redattore: Stefanini Arte
    Stefanini Arte
  • 25 mag
  • Tempo di lettura: 6 min

Aggiornamento: 3 giu


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Emilio Vedova (Venezia, 9 agosto 1919 – Venezia, 25 ottobre 2006) fu una figura dirompente e fondamentale nell'evoluzione dell'arte italiana del secondo dopoguerra. Nato in una famiglia di umili origini, la sua precoce passione per il disegno lo spinse a superare le difficoltà economiche, lavorando fin dalla giovane età per procurarsi i mezzi per esprimere la sua creatività. Questi anni formativi, trascorsi tra Venezia e un breve soggiorno romano, segnarono l'emergere di un talento precoce, attratto da prospettive architettoniche audaci, dall'indagine introspettiva dell'autoritratto e da un dinamismo compositivo embrionale, già percepibile nella ritmica tensione dei suoi primi disegni.


Il suo ritorno a Venezia e la concessione di uno studio-soffitta a Palazzo Carminati da parte dell'Opera Bevilacqua La Masa nel 1940 rappresentarono una svolta cruciale, permettendogli di dedicarsi con maggiore intensità alla sua ricerca artistica. La sua prima esposizione personale alla Galleria Ongania nello stesso anno e la sua partecipazione a iniziative d'avanguardia lo proiettarono nel vivace contesto artistico veneziano.


Il trasferimento a Milano nel 1942 lo mise in contatto con gli artisti del movimento Corrente, un gruppo che svolse un ruolo cruciale nel rinnovamento del linguaggio artistico italiano, preparando il terreno per l'emergere del Fronte Nuovo delle Arti, a cui Vedova aderì con fervore. Durante la Seconda Guerra Mondiale, il suo impegno civile si manifestò con la partecipazione attiva alla Resistenza italiana, prima a Roma e poi nel Bellunese.


Tornato a Venezia dopo il conflitto, Vedova stabilì il suo studio in Fondamenta Bragadin e divenne un assiduo frequentatore del ristorante L'Angelo, presto trasformatosi in un crocevia di intellettuali e artisti. Fu in questo ambiente stimolante che conobbe la visionaria collezionista Peggy Guggenheim, che riconobbe la sua originalità e acquistò alcune delle sue opere, contribuendo a lanciarlo sulla scena internazionale.


L'ottobre del 1946 segnò la nascita del Fronte Nuovo delle Arti, un movimento che Vedova abbracciò con entusiasmo insieme a Renato Birolli, Ennio Morlotti, Armando Pizzinato e al critico Giuseppe Marchiori. Il loro intento era di superare l'immobilismo del movimento Novecento, aprendo l'arte italiana alle più recenti esperienze europee. Tra il 1946 e il 1947, Vedova partecipò a importanti mostre internazionali, affermando la sua presenza nel dibattito artistico contemporaneo. L'incontro e il successivo matrimonio con Annabianca Manni nel 1951 coincisero con la sua prima personale all'estero, ospitata dalla Galleria Viviano di New York, dove presentò le sue intense "geometrie nere".


Dopo la dissoluzione del Fronte Nuovo delle Arti, Vedova si unì al "Gruppo degli Otto", promosso dal critico Lionello Venturi per riunire gli artisti italiani più orientati verso l'astrazione, tra cui, oltre a Vedova, Birolli, Turcato, Morlotti e Santomaso. La vittoria del Premio Dufy nel 1952 gli offrì l'opportunità di un soggiorno parigino, un periodo cruciale che vide l'emergere delle sue grandi tele del "Ciclo della protesta '53" e del "Ciclo della natura '53", opere che sancirono il suo avvicinamento all'Informale, con la sua gestualità impetuosa e la sua carica emotiva.


L'invito alla prima edizione di Documenta a Kassel nel 1955, curata da Arnold Bode, segnò il suo primo contatto diretto con il contesto artistico tedesco. Nel 1957 si trasferì nel suo definitivo appartamento veneziano a Dorsoduro, che divenne il fulcro della sua vita e della sua attività creativa. La presentazione della sua prima personale alla Galleria Marlborough di Roma nel 1963, introdotta dal prestigioso critico Giulio Carlo Argan, suscitò un vivace dibattito critico, testimoniando la forza innovativa e polarizzante della sua arte.


Il suo primo viaggio negli Stati Uniti nel 1965, seguito da un incarico di docenza all'Accademia Internazionale estiva di Salisburgo, dove insegnò per cinque anni, ampliò ulteriormente la sua influenza e il suo raggio d'azione internazionale. Il suo impegno civile e politico trovò una nuova forma di espressione nel 1968, durante il fermento del movimento studentesco, quando fu chiamato dagli studenti dell'Accademia di Belle Arti di Venezia a tenere dei "controcorsi". Nel 1974, la sua sensibilità per la salvaguardia del patrimonio culturale veneziano lo vide protagonista di una battaglia per preservare i quattrocenteschi Magazzini del Sale, contrastando il progetto di trasformarli in piscine comunali. Grazie alla sua tenacia e alle proteste promosse, i saloni storici furono salvati.


Dal 1975 al 1986, Vedova insegnò all'Accademia di Belle Arti di Venezia, trasmettendo la sua passione e la sua visione artistica alle nuove generazioni. L'invito dell'Università Unam a Città del Messico nel 1980 per una mostra antologica fu l'occasione per un significativo viaggio-studio, le cui suggestioni si manifestarono nel ciclo dei "Plurimi binari". Gli anni Ottanta furono costellati di grandi mostre dedicate al suo lavoro, in Italia e all'estero, che consolidarono la sua fama di artista di primo piano. Nel 1993, l'Accademia dei Lincei gli conferì il prestigioso Premio Feltrinelli per la pittura, e nel 1997 ricevette il Leone d'Oro alla carriera alla XLVII Biennale di Venezia, lo stesso anno della sua grande retrospettiva al Castello di Rivoli. Emilio Vedova si spense a Venezia, seguito un mese dopo dalla sua amata Annabianca, lasciando un'eredità artistica dirompente e profondamente innovativa.


Le Coordinate Stilistiche di Emilio Vedova: Tra Gesto Impetuoso e Conquista dello Spazio


La pittura gestuale di Emilio Vedova affonda le sue radici nelle dinamiche del Futurismo e nell'energia liberatoria dell'Action Painting statunitense. Fin dagli esordi, Vedova rifiutò ogni forma di rappresentazione realistica e didascalica, individuando nell'astrazione gestuale il linguaggio più autentico per affrontare le tensioni politiche e sociali del suo tempo. Il gesto, inteso come traccia immediata dell'azione dell'artista, fu una costante della sua carriera, come testimoniano opere giovanili come l'"Autoritratto" (1938-1939) e il "Caffeuccio veneziano" (1942), dove le figure emergono da pennellate energiche delineate da un tratto nero.


Negli anni Quaranta, i temi delle sue tele si fecero eco delle turbolenze politiche dell'epoca, preannunciandone i cambiamenti, come suggeriscono titoli emblematici quali "Assalto alle prigioni" (1945), un'opera pienamente astratta, "Combattimento" (1942) e "Uragano" (1948), quest'ultima segnando un definitivo approdo all'astrazione caratterizzata da un segno sempre più vigoroso e da titoli che sintetizzavano in metafore potenti la condizione storica ed esistenziale percepita come conflitto e tensione.


Questo periodo vide la creazione di opere significative come "Campo di concentramento" (1950), "Esplosione" e "Lotta" (entrambe del 1949), che rivelano una rilettura delle lezioni cubiste, in particolare del "Guernica" di Picasso. Il linguaggio di Vedova si orientò in modo inequivocabile verso l'Informale con i grandi cicli "Cicli della protesta" e "Cicli della natura" (1952-1953), nei quali l'artista espresse il suo profondo impegno etico-politico e la sua critica radicale verso le contraddizioni della società contemporanea, abbandonando la razionalità geometrica degli anni precedenti per approdare a una gestualità nervosa, tesa e vibrante, che divenne la sua inconfondibile cifra stilistica.


Gli anni Sessanta furono caratterizzati da una prolifica produzione, come i cicli "Per la Spagna" (1962). Questo decennio segnò anche una svolta cruciale con la sua ricerca di una maggiore interazione con lo spettatore, la cui fruizione dell'opera non poteva più limitarsi alla contemplazione frontale del quadro. Nacquero così i primi "Plurimi" (1961): opere materiche che irrompevano nello spazio espositivo, creando pitture bifrontali su supporti lignei attraverso tecniche compositive innovative come collage, décollage, graffiti e ustioni. I primi "Plurimi" furono realizzati a Venezia nel 1963 ed esposti alla Galleria Marlborough di Roma nello stesso anno.


Un ulteriore sviluppo di queste opere avvenne durante il suo soggiorno berlinese (1963-1965), dove Vedova realizzò i sette "Plurimi dell’Absurdes Berliner Tagebuch ’64", presentati a Documenta III a Kassel. Queste opere, pur oscillando tra pittura e scultura, mantenevano una forte impronta pittorica attraverso la loro intensa gestualità, obbligando il pubblico a una fruizione dinamica, invitandolo ad avvicinarsi e a girare intorno all'opera. Se Jackson Pollock aveva rivoluzionato la pittura su cavalletto con la sua interazione fisica con la tela posta a terra, Vedova compì un ulteriore passo avanti, creando una relazione fisica non solo tra artista e opera, ma anche tra opera e spettatore.


Gli anni Settanta furono un periodo di riflessione e di sperimentazione tecnica, che portò alla creazione dei "plurimi-binari" (1977-1978), grandi strutture che incorniciavano pannelli lignei dipinti su entrambi i lati. Le strutture binarie in acciaio richiamavano la geometria delle opere di fine anni Quaranta, in una sorta di dialogo tra le diverse fasi della sua ricerca. Parallelamente, Vedova esplorò varie forme grafiche, producendo serigrafie, litografie e acqueforti. Tra il 1977 e il 1983 sviluppò la serie dei "Cosiddetti Carnevali", opere che si distaccavano dalle precedenti per l'introduzione di maschere applicate sulle superfici dipinte, rendendo immediatamente riconoscibile il soggetto e aprendo nuove prospettive espressive.


Il suo viaggio in America Latina nel 1981 lo influenzò profondamente, spingendolo a reintrodurre il colore nelle sue grandi tele e a sperimentare nuovi formati, abbandonando il tradizionale rettangolo per abbracciare il cerchio, come nell'imponente "Non dove ‘87 II", un disco di 280 cm di diametro caratterizzato da masse cromatiche scure in tensione reciproca. Negli anni successivi, Vedova concepì il ciclo pittorico "...Continuum", una sorta di scenografia di stratificazioni variabili in cui le tele si compenetravano, creando un'impressione di continuità e simboleggiando l'infinita possibilità espressiva della pittura, di cui le sue opere rappresentavano frammenti intensi e vibranti.

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