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Carlo Carrà

  • Immagine del redattore: Stefanini Arte
    Stefanini Arte
  • 25 mag
  • Tempo di lettura: 7 min

Aggiornamento: 3 giu


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Carlo Carrà (Quargnento, 1881 – Milano, 1966) fu una delle personalità su cui meglio si rispecchiò l’arte italiana del primo Novecento. Il pittore aderì prima al futurismo e poi alla metafisica senza mai stabilirsi in maniera definitiva in un nessun movimento. Altrettanto fondamentali per lo sviluppo del suo linguaggio artistico furono gli studi sui maestri toscani, come Giotto e Paolo Uccello. Ancora giovane si trasferì a Milano dove poté visitare i musei e arricchire le sua conoscenze artistiche. Importanti furono i molti viaggi che fece a Parigi, al tempo capitale dell’arte, in cui poté stringere rapporti con i cubisti e l’ambiente intellettuale parigino. Non solo pittore ma anche critico militante, Carrà collaborò a varie riviste, tra cui Lacerba, L’Ambrosiano e Valori Plastici.

Dal 1939 al 1951, Carrà fu anche professore presso l’Accademia di Belle Arti di Brera. Singolare fu la sua capacità di interpretare e riassumere i motivi e temi principali dei movimenti a cui partecipò: quando aderì al futurismo Carrà riuscì a trovare un equilibrio formale tra motivi plastici e dinamici che spesso declinò in sfumature cubiste. Anche il suo approccio alla metafisica fu molto originale imprimendo ai quadri di questo periodo un lieve movimento e tocco di originalità che lo resero autonomo rispetto alle enigmatiche opere di Giorgio De Chirico oppure alle meditative e silenziose tele di Giorgio Morandi. Carrà dimostrò subito una certa intuizione verso le ricerche artistiche più all’avanguardia e moderne del primo Novecento, senza per questo rinunciare ad un’espressione artistica che fosse personale e originale.

Carlo Carrà nacque a Quargnento, in provincia di Alessandria, l’11 febbraio 1881. Quinto figlio dell’artigiano Giuseppe Pittolo e della moglie Giuseppina, Carrà trascorse la sua infanzia in un ambiente piuttosto umile e paesano. Da bambino venne colpito da una malattia che lo costrinse a stare a letto per circa un mese, quindi per tenere occupate le giornate cominciò a disegnare e scoprì la sua passione per l’arte. Nel 1895 il pittore piemontese si traferì a Milano per lavorare come decoratore di palazzi, tuttavia in questo periodo condusse una vita piuttosto disagiata e grama. La città offrì a Carrà la possibilità di vedere i musei e di deliziare il suo sguardo trascorrendo le domenica alla Pinacoteca di Brera e alla Galleria d’arte Moderna del Castello Sforzesco. Nel 1889 andò per la prima volta a Parigi dove ebbe modo di vedere Delacroix, Gericault e gli impressionisti. Nel 1909 divenne studente del pittore Cesare Tallone presso l’Accademia di Brera in cui poté sviluppare un’esperienza figurativa di tipo divisionista e fu qui che strinse amicizia con alcuni artisti, tra questi il futurista Umberto Boccioni. Nel 1910 incontrò Marinetti e con lui, Boccioni e Russolo decise di elaborare un manifesto per rinnovare il linguaggio artistico italiano. Aderirono al nuovo movimento anche Giacomo Balla e Gino Severini dando vita a una delle avanguardie più importanti che segnarono il corso della storia dell’arte: il futurismo. Nel 1911 Carrà ritornò per la seconda volta a Parigi dove avviò i primi contatti con il cubismo, che si intensificarono con il terzo viaggio parigino, nel 1912, in occasione dell’Esposizione futurista presso la Galleria Bernheim Jeune.

Durante il terzo viaggio a Parigi del 1912 Carrà conobbe molti artisti e intellettuali illustri come gli artisti Pablo Picasso, Amedeo Modigliani, Medardo Rosso e il poeta Guillaume Apollinaire. Tra il 1912 e il 1914 contribuì con scritti e disegni alla nuova rivista Lacerba, diretta dagli scrittori Giovanni Papini e Ardengo Soffici. A Parigi sviluppò e consolidò rapporti con i cubisti francesi con cui trascorse un lungo periodo nel 1914 e probabilmente fu proprio in questo periodo che iniziò a maturare la crisi verso futurismo. Al 1914 risalirono i suoi primi quadri “metafisici”. La guerra coinvolse anche Carrà che venne chiamato alle armi ma l’esperienza bellica ebbe breve durata poiché a causa delle sue cattivi condizioni di salute venne ricoverato all’Ospedale militare di Ferrara e fu in questa tragica situazione che conobbe gli artisti Giorgio De Chirico, Filippo De Pisis e Alberto Savinio.

Fino al 1919 si dedicò assiduamente all’arte, disegnò, dipinse e proseguì gli studi sui maestri del Quattrocento toscano, che già intraprese qualche anno prima. Nel 1919 rientrò a Milano dove conobbe e sposò Ines Minoja. Dopo il matrimonio seguì un periodo di crisi interiore e di grande meditazione: il pittore dipinse poco ma disegnò molto realizzando una serie di fogli che i critici chiamarono “fase purista”. In questo periodo il suo linguaggio artistico fu più scarno ed essenziale, anticipando alcuni elementi che caratterizzarono il suo nuovo linguaggio artistico a partire dal 1921 circa. La nuova poetica del pittore si rispecchiò anche negli scritti che vennero pubblicati nella rivista “Valori Plastici” diretta da Mario Broglio, della quale Carrà fu tra i collaboratori più assidui. All’inizio degli anni Venti, Carrà ebbe nuovi contatti con il paesaggio marino che lo stimolarono alla realizzazione di nuovi dipinti e disegni. Dal 1926 Carrà trascorse l’estate a Forte dei Marmi e fu proprio nella Versilia già tanto amata dal poeta Gabriele d’Annunzio che il pittore trovò paesaggi adatti a sperimentare il suo rinnovato linguaggio artistico, più ordinato e oggettivo. L’artista si affidò alla divisione equilibrata dei piani e degli spazi per approdare all’ equilibrio tra l’elemento concreto e la trasfigurazione. Accanto ai suoi dipinti Carrà continuò la sua “battaglia” per l’arte moderna con scritti di critica e di dottrina estetica, in particolare nella rivista “L’Ambrosiano” di cui fu critico d’arte dal 1922 al 1938. Nell’estate del 1965, l’ultima che passò a Forte dei Marmi, eseguì un gran numero di disegni, rielaborando, talvolta anche a distanza di anni, alcuni motivi che gli furono particolarmente cari. A seguito di una malattia Carlo Carrà morì a Milano il 13 aprile 1966.


Le opere e lo stile di Carlo Carrà

Carlo Carrà si distinse nel panorama artistico italiano del primo Novecento per la sua singolare capacità di attraversare e interpretare le correnti culturali più nevralgiche, dal dinamismo futurista alle atmosfere sospese della Metafisica, pur mantenendo una sua peculiare autonomia espressiva. Artista di profonda sensibilità, Carrà seppe incarnare con maestria lo spirito di un'epoca in fervente trasformazione.


I suoi esordi pittorici furono segnati dall'influenza del Divisionismo, come testimoniano le tele "Uscita da teatro" e "Piazza del Duomo a Milano" (entrambe del 1909). Già in queste opere, pur nella riconoscibilità dei soggetti, si percepiva una visione spaziale inedita e dinamica, con elementi che si compenetravano suggerendo un'energia urbana vibrante, come nell'affollata "Piazza del Duomo", dove l'intento non era la mera riproduzione accademica, bensì la restituzione dell'anima pulsante della città, con i suoi rumori e la sua caotica vitalità.


L'incontro nel 1910 con Filippo Tommaso Marinetti, figura carismatica e fondatore del Futurismo, si rivelò un momento cruciale. L'indole aperta e l'avversione per ogni forma di accademismo di Marinetti sedussero l'animo ribelle e antitradizionale di Carrà, che aderì con entusiasmo al movimento. Seguì un periodo di intensa attività creativa al fianco dei pittori futuristi, che tuttavia si concluse intorno al 1915.


Durante la sua fase futurista, Carrà abbandonò le suggestioni simboliche del Divisionismo per abbracciare la "simultaneità dinamica degli stati d'animo". Il suo intento era di rappresentare l'emozione e la sensazione dell'essere umano nel suo continuo divenire. "I Funerali dell'anarchico Galli" (1911) fu una delle prime opere a manifestare questa adesione, evocando il caos e il tumulto di un tragico evento attraverso una disposizione dinamica delle linee e un uso espressivo del colore, con il rosso a sottolineare l'aggressività e il giallo a infiammare la scena. "La Galleria di Milano" (1912) divenne un'opera emblematica di questa fase, modulata da linee di forza e dalla compenetrazione tra figure e sfondo tipica dello stile futurista, trasfigurando il cuore commerciale della città in un vortice di movimento e vitalità, con un sottile richiamo alla struttura delle pale d'altare.


Un'altra opera significativa fu "Donna al balcone" (1912), in cui affiorava un vago sentore cubista, soprattutto nel contrasto tra il soggetto in primo piano e lo spazio retrostante, e nella scelta cromatica. Tuttavia, Carrà infuse nell'opera un senso di dinamismo assente nelle nature morte cubiste, rivelando la sua originalità. Pur nell'assenza di elementi figurativi espliciti, il corpo della donna irradiava una sottile sensualità, suggerendo l'immagine velata di una figura provocante affacciata su un balcone.


Il poliedrico ingegno di Carrà si manifestò pienamente nel collage "Manifestazione interventista" (1914), realizzato verso la fine del suo periodo futurista. Quest'opera audace, realizzata con ritagli di volantini lanciati su Piazza del Duomo, riuscì a evocare la confusione e il caos di un evento politico attraverso la disposizione vorticosa dei frammenti cartacei e delle frasi, in un dinamico gioco di segni e colori. Dal centro del vortice emergevano parole come "esercito", "evviva", "abbasso" e persino echi del linguaggio futurista di Marinetti, tutte riconducibili al clima politico infuocato che precedette la Prima Guerra Mondiale.


Dopo la breve ma intensa parentesi futurista, tra il 1916 e il 1917 Carrà visse una "seconda rivelazione" con l'approdo alla Metafisica. Tra i suoi riferimenti principali figuravano Henry Rousseau, ma anche la tradizione artistica italiana, in particolare Giotto, Paolo Uccello e Piero della Francesca. Nel 1916 dipinse "L'Antigrazioso", un'opera dal carattere arcaico e grottesco, popolata da figure semplificate e isolate in uno spazio atemporale, con un pavimento a scacchiera come unico elemento di ancoraggio alla realtà. In questo dipinto, Carrà rifiutava le convenzioni spaziali e temporali per abbracciare un linguaggio più primitivo, evidente anche nella scelta cromatica.


L'incontro con Giorgio De Chirico a Ferrara nel 1917 segnò un breve ma significativo sodalizio, culminato nello stesso anno con la realizzazione de "Il dio ermafrodito", in cui Carrà riprendeva il tema del manichino decontestualizzato, caro a De Chirico. La figura centrale, volutamente sproporzionata e collocata in un ambiente soffocante, con la sua ambiguità sessuale e il gesto benedicente, evocava un'enigmatica presenza angelica. Altre opere chiave di questa fase furono "Il cavaliere dello spirito occidentale" (1917), in cui il manichino a cavallo acquisiva un dinamismo che richiamava suggestioni futuriste, e "La musa metafisica" (1917), in cui il manichino veniva modellato con un chiaroscuro di ascendenza rinascimentale, su una tavolozza dominata dai grigi in contrasto con i colori vividi di elementi geometrici. "L'amante dell'ingegnere" (1921) rappresentò uno dei vertici del suo periodo metafisico, con un volto scolpito enigmatico e immobile in primo piano, affiancato da una squadra e un compasso, simboli dell'ordine e della nuova direzione artistica di Carrà, immersi in uno sfondo atemporale e onirico.


Una nuova svolta si delineò intorno agli anni Venti con l'adesione alla rivista "Valori Plastici" di Mario Broglio. Carrà si orientò sempre più verso un recupero del classicismo e della tradizione, con una ricerca formale più rigorosa e razionale, anticipata dagli elementi geometrici de "L'amante dell'ingegnere". L'opera più rappresentativa di questo "ritorno all'ordine" fu "La casa rossa" (1926), in cui gli elementi raffigurati si presentavano come volumi solidi e compatti, con una grande casa rossa al centro, austera nella sua struttura, affiancata da edifici dalle tonalità sobrie e preceduta da oggetti semplici su un davanzale. Il paesaggio sullo sfondo appariva bloccato dalla monumentalità delle forme in primo piano. Carrà sviluppò la forma seguendo il dato oggettivo, ma infondendovi un linguaggio arcaicizzante. La riscoperta della natura, durante i soggiorni estivi a Forte dei Marmi, arricchì ulteriormente la sua ricerca artistica.


La carriera di Carlo Carrà attraversò quasi interamente le vicende cruciali dell'arte italiana del primo Novecento. Pur non fondando una vera e propria scuola, la sua forza artistica e la sua capacità di interpretare lo spirito del tempo furono straordinarie, lasciando un segno indelebile nella storia dell'arte italiana.

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